Il restauro degli affreschi della Chiesa
di Sant’Osvaldo a
Partistagno è iniziato nel 1992
con un primo lotto che ha interessato esclusivamente la zona
absidale con le raffigurazioni, già parzialmente in luce,
della teoria degli Apostoli e del Cristo
Pantocratore circondato dai
simboli degli Evangelisti.
Il secondo lotto, del 1999, ha previsto la messa in luce
degli affreschi dell’arco trionfale e della parete destra
dell’aula primitiva e ha portato a compimento il loro
restauro conservativo.
Il terzo lotto, eseguito nell’estate
del 2003, ha avuto come obiettivo la
presentazione estetica complessiva degli affreschi non solo
come integrazione pittorica del tessuto figurativo ancora
esistente, ma anche come scelta tra la conservazione o la
rimozione degli intonaci limitrofi agli affreschi, come
trattamento delle discontinuità architettoniche e come
esecuzione di stuccature a neutro delle lacune.
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Le superfici dell’abside erano interessate da un degrado
molto avanzato determinato prevalentemente dall’alta
percentuale di umidità presente
in chiesa, dalla risalita capillare e dalle infiltrazioni
dall’esterno. La superficie dei dipinti
risultava quindi ricoperta da consistenti concrezioni
saline che nascondevano ampie parti delle immagini.
L’intonaco era diffusamente fessurato
e distaccato dagli strati sottostanti.
Sull’arco trionfale e sulla parete destra la situazione, a
descialbo concluso, era molto
complessa: sono emersi tre strati di
affreschi presenti in maniera sporadica e
discontinua. La presenza contemporanea di lacerti
appartenenti a fasi diverse e discontinuità architettoniche
testimonianti le complesse trasformazioni subite
dall’edificio nel tempo generava
notevole confusione nella lettura delle immagini. |
Pulitura
Per rimuovere scialbi e concrezioni
saline si sono utilizzati vari metodi, a seconda
delle zone e delle situazioni. Nelle situazioni più
favorevoli si è usata una resina a scambio
anionico
Desolfatante. Nelle parti ove gli scialbi erano meno
coesi, si è proceduto a rimuoverli
con l’ausilio del bisturi e, piuttosto limitatamente, del
vibroincisore. Ove invece erano molto tenaci, si è fatto
ricorso ad un micromotore, utilizzando punte diverse
a seconda delle necessità.
Al fine di rimuovere gli ultimissimi
residui di scialbo e il leggero velo biancastro di
ricarbonatazioni, si è deciso di
ricorrere ad una microsabbiatura effettuata a bassa
pressione con microsfere di vetro, metodo che ha garantito
il rispetto della materia e il raggiungimento del livello di
pulitura desiderato. I sali sono stati rimossi con
ripetuti impacchi di acqua
deionizzata.
Consolidamento
Il consolidamento dell’intonaco distaccato è stato
effettuato con iniezioni puntuali
di resina acrilica e di maltina
fluida a base di calce idraulica e pozzolana ventilata.
Sulla porzione di affresco
trecentesca con la figura della Vergine Annunciata, posta
nel lato sinistro dell’arco trionfale, dove l’intonaco era
piuttosto decoeso, e la
pellicola pittorica molto fragile si è effettuato un
consolidamento, mediante impacco, ad idrossido di bario.
Stuccatura
Le stuccature di fino delle
piccole lacune sono state realizzate con un impasto di
grassello di calce ed inerti e sono state portate sempre a
livello.
La stuccatura delle grandi lacune, localizzate nella fascia
superiore dell’arco trionfale e nella parete destra, è stata
realizzata “a neutro” sottolivello rispetto alla materia
originale di tonalità chiara affinché rimanesse otticamente
in secondo piano rispetto all’intero partito decorativo.
Per quanto riguarda le numerose discontinuità
architettoniche, si è deciso di mantenerle in vista e quindi
di non tamponarle e stuccarle. Questa scelta è stata dettata
dalla considerazione che tali discontinuità (crepe profonde,
distacchi delle murature, fessurazioni) possono, se
interpretate mediante il metodo della lettura stratigrafica
dell’elevato, essere un’importantissima fonte per la
conoscenza delle modificazioni subite dall’edificio nel
corso dei secoli.
Presentazione estetica
L’integrazione pittorica della superficie affrescata è stata
eseguita con acquarelli, a seconda delle
situazioni a rigatino o a velatura, mantenendo comunque
sempre un leggero sottotono rispetto alla materia
circostante.
Per i lacerti duecenteschi, con forme poco definite e
piuttosto evanescenti, si è per lo
più fatto ricorso alla velatura in sottotono delle
abrasioni; il risultato finale di questa operazione ha
permesso di agevolare la lettura della scarsa materia
pittorica giunta a noi.
Nelle pozioni trecentesche, dove il tessuto pittorico si
presentava piuttosto compatto e con lacune interne ed
abrasioni che lo
interssavano in percentuale
piuttosto bassa, si è fatto ricorso prevalentemente al
rigatino, utilizzato per l’integrazione sia delle stuccature
che delle porzioni abrase più estese. Ove l’abrasione era
più circoscritta, si è effettuata
invece una velatura sottotono. Il risultato finale è una
buona restituzione del testo pittorico. |
Abside, dopo il restauro. |
S. Paolo, prima dell'intervento. |
S. Paolo, durante dell'intervento. |
S. Paolo, dopo l'intervento. |
Simbolo di S.Marco, durante l'intervento. |
Simbolo di S.Marco, dopo l'intervento. |
Apostoli, particolare dopo l'intervento. |
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